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SENZA MAGNESIO, LA VITAMINA D NON BASTA MAI!
RUOLO DEL MAGNESIO NELL'ATTIVAZIONE DELLA VITAMINA D.
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Una recensione pubblicata sul Journal of the American Osteopathic Association ha rilevato che la vitamina D non può essere metabolizzata senza livelli di magnesio sufficienti, il che significa che la vitamina D rimane immagazzinata e inattiva per il 50% della popolazione americana indagata.
Quindi, senza il magnesio, la vitamina D non è veramente utile o sicura.
Se manca il magnesio, il consumo di integratori di vitamina D può aumentare i livelli di calcio e fosfato ma chi l’assume resta comunque carente di vitamina D. Il problema è che le persone possono soffrire di calcificazione vascolare se i loro livelli di magnesio non sono abbastanza alti.
Per contro, i pazienti con livelli ottimali di magnesio richiedono meno supplementazione di vitamina D per ottenere sufficienti livelli di vitamina D. Il magnesio riduce anche l'osteoporosi, contribuendo a mitigare il rischio di fratture ossee che possono essere attribuite a bassi livelli di vitamina D.
Si ritiene che la carenza di uno di questi nutrienti sia associata a vari disturbi, tra cui deformità scheletriche, malattie cardiovascolari e sindrome metabolica.
Mentre l'intake giornaliero raccomandato per il magnesio è di 420 mg per gli uomini di 320 mg per le donne, la dieta standard negli Stati Uniti contiene solo circa il 50% di quella quantità. Circa la metà della popolazione totale consuma una dieta carente di magnesio.
I LARN per la popolazione italiana indicano una assunzione raccomandata di 240 mg/die.
Lo stato di magnesio è basso nelle popolazioni che consumano cibi trattati ad alto contenuto di cereali raffinati, grassi, fosfati e zuccheri.
Il magnesio è il quarto minerale più abbondante nel corpo umano dopo calcio, potassio e sodio. Alimenti ricchi di magnesio includono mandorle, banane, fagioli, broccoli, riso integrale, anacardi, tuorlo d'uovo, olio di pesce, semi di lino, verdure verdi, latte, funghi, altre noci, farina d'avena, semi di zucca, semi di sesamo, soia, semi di girasole, dolci mais, tofu e cereali integrali.
Autori: Anne Marie Uwitonze, BDT, MSMohammed S. Razzaque, MBBS, PhD
Fonte: The Journal of the American Osteopathic Association, March 2018, Vol. 118, 181-189. doi:10.7556/jaoa.2018.037
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DIETA, MICROBIOMA E IMMUNITÁ
Una revisione
RICERCA CLINICA E DI BASE
Le cellule B hanno un ruolo predominante nelle risposte immunitarie adattive tramite funzioni anticorpo-dipendenti e indipendenti. Il microbioma del tratto gastrointestinale è attualmente oggetto di uno studio approfondito a causa del suo profondo impatto su varie risposte immunitarie, tra cui la maturazione delle cellule B, l'attivazione e le risposte degli anticorpi IgA.
Recenti scoperte hanno dimostrato l'interazione tra componenti alimentari, microbioma intestinale e produzione di autoanticorpi. Le abitudini alimentari "occidentali", ad alto contenuto di grassi e ad alto contenuto di sale, possono indurre alterazioni nel microbioma intestinale che a sua volta influisce sulle risposte IgA e sulla produzione di autoanticorpi. Questo potrebbe contribuire a molteplici patologie tra cui malattie autoimmuni e infiammatorie.
Gli interventi dietetici e l'uso di probiotici potrebbero ripristinare la deregolazione immunitaria che si osserva in caso di alterazioni del microbioma indotte dall’alimentazione abituale. Possono quindi rappresentare strumenti preziosi per migliorare il trattamento dei disturbi infiammatori e autoimmuni. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire i meccanismi alla base degli effetti delle componenti alimentari sulla produzione di autoanticorpi e la sua relazione con lo sviluppo della malattia al fine di ottenere una linea di trattamento più efficiente e preventiva. Nei pazienti con sclerosi multipla sono stati descritti anticorpi IgA contro diversi auto antigeni e un microbioma alterato.
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Autori: Petta I, Fraussen J, Somers V, Kleinewietfeld M.
Fonte: Front Immunol. 2018 Mar 6;9:439. doi: 10.3389/fimmu.2018.00439. eCollection 2018.
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I PRO VEGETARIANI: LA TERZA VIA CHE NON BANDISCE LE PROTEINE ANIMALI
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Un’alimentazione che si focalizza solo sull’incremento della proporzione dei prodotti vegetali rispetto a quelli animali. Lo studio su 450 mila persone: si è visto che infarti, ictus e mortalità per patologie di cuore e vasi si riducono del 20 per cento
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Preferire alimenti di derivazione vegetale nella maggior parte dei casi, puntando a una dieta per lo più verde che si conceda però qualche sporadica incursione fra bistecche e grigliate di mare: è questo il regime pro-vegetariano, una “terza via” che secondo una ricerca condotta dall’epidemiologa Camille Lassale dell’Imperial College di Londra, ridurrebbe del 20 per cento la mortalità per malattie cardiovascolari rispetto a chi invece non ama molto frutta, verdura e legumi.
La raccolta dei dati
I dati hanno la forza dei numeri, perché arrivano da oltre 450mila persone di 10 Paesi che dal 1992 hanno partecipato allo studio European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC): tutti all’inizio dello studio avevano fra i 35 e i 70 anni ed erano privi di malattie croniche, hanno risposto a questionari sull’alimentazione, lo stile di vita e l’attività fisica, quindi sono stati seguiti per una media di dodici anni registrando eventuali malattie e decessi. Per identificare il tipo di dieta e il grado di vicinanza a un regime vegetariano i ricercatori hanno assegnato un punto per ogni alimento consumato abitualmente e appartenente a uno dei sette gruppi di cibi vegetali (ortaggi, frutta, legumi, cereali, patate, noci e nocciole, olio d’oliva), togliendo invece un punto per i prodotti di origine animale di cinque gruppi (carne, grassi animali, uova, pesce e crostacei, latticini). Sulla base del punteggio ottenuto ciascuno è stato definito pro-vegetariano o ipo-vegetariano; quindi, tenendo conto di elementi come età, sesso, abitudine al fumo, sedentarietà e così via, gli epidemiologi hanno stimato il rischio di morte per cause cardiovascolari come ictus e infarto, correlandolo al tipo di dieta.
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